Gita al Devero  

GITA AL DEVERO

Il giorno 30 maggio, noi alunni delle classi seconde, accompagnati dai proff. Masseroni, Erbetta, Villa e dal simpatico bidello Tiziano, ci recammo all’Alpe Devero.


Prima della partenza, eravamo tutti in fermento, soprattutto i ragazzi. Per la nostra gioia, alle ore 7,30 partimmo col pullman. Il viaggio durò circa due ore e mezza e fu molto movimentato. Arrivammo a destinazione verso le 9.30; però non ci trovammo subito al rifugio, dove ci avrebbero accolto, ma di fronte ad una ripida salita. Per arrivare al rifugio c’erano due possibilità: si poteva salire per mezzo della navetta, un piccolo pulmino, oppure si poteva andare a piedi.
Così ci dividemmo in due gruppi: la maggioranza di noi salì in navetta e i rimanenti, con i proff., a piedi. Il cammino a piedi durò circa due ore; mentre quello in navetta fu di tre quarti d’ora. Arrivati al rifugio verso le ore 11.30, ci sedemmo ai tavolini all’esterno dell’edificio per bere e riposarci. Finito di mangiare, entrammo nel rifugio per sistemarci nelle camere: per i ragazzi erano disponibili due stanze da sei letti ciascuna; mentre per le ragazze c’era un camerone in mansarda capiente di sedici letti e, al piano di sotto, una piccola camera con quattro letti.
I gestori del rifugio diedero una serie di regole da rispettare, le principali erano: avere obbligatoriamente un paio di ciabatte da usare soltanto nel rifugio; non picchiare troppo i piedi a terra, siccome il pavimento era costituito da legno e, quindi il suono si propagava di più. Il rifugio era una piccola baita circondata dai monti. Essa aveva delle piccole finestrelle verdi ed era molto accogliente. Al pianterreno c’era il bar con dei tavoli su cui mangiare.
Verso mezzogiorno, uscimmo dalle camere, con il nostro pranzo al sacco per mangiare ai tavoli. Finito il pranzo, restammo fuori per un bel po’, nell’attesa che i proff. decidessero dove andare ma accadde un imprevisto. All’improvviso il cielo si oscurò e le nubi si caricarono di pioggia. Cercammo riparo sedendoci sulle panche, protette dal tetto della baita. Attendemmo ansiosi che la pioggia cessasse perché era già in programma una passeggiata. Passarono questi lentissimi minuti: per alcuni piacevoli data la scarsa voglia di camminare, per altri noiosi vista l’intenzione opposta. La pioggia non cessava, così i proff. decisero di entrare nel rifugio. Ci sedemmo: alcuni di noi giocavano a carte, altri chiacchieravano in camera. Intanto chi voleva poteva comprarsi al bar qualcosa da bere o da mangiare. Il tempo trascorso nel rifugio fu lungo ma divertente. All’improvviso sembrò che la situazione atmosferica fosse migliorata, quindi, accompagnati dai proff. e dal bidello, uscimmo per una passeggiata che, per molti non fu facile: infatti, il percorso era una salita abbastanza ripida. Arrivammo a metà strada, ad un bar dove si poteva acquistare qualcosa e, intanto, sostammo un attimo per riposarci. Nel tardo pomeriggio, ci aspettavano le diapositive da vedere al rifugio e, quindi ci avviammo verso la nostra baita. Durante il viaggio di ritorno vedemmo un camoscio che correva alle pendici delle montagne e sentimmo una marmotta che emetteva il suo verso, per segnalare un pericolo. Giunti al rifugio ci accolsero nella sala da pranzo, facendoci accomodare per vedere le diapositive. Ad ogni diapositiva seguiva una spiegazione ben dettagliata da parte della guardia, ed eventuali commenti e domande di noi ragazzi. Queste immagini illustravano la flora e la fauna del posto.
Per quanto riguarda la flora, le guardie ci elencarono le piante e i fiori che si possono trovare lungo i versanti delle montagne a determinate quote. A quote medie si possono notare arbusti di rododendri e mirtilli: oggi, se non fosse intervenuto l’uomo, i versanti sarebbero totalmente coperti da questi arbusti. Tra i fiori che si possono notare scalando le montagne, ci sono i ranuncoli che formano delle bellissime distese gialle. Sono molto diffuse anche le foreste di larici di cui una buona parte è utilizzata per produrre legname da ardere. In certi punti, l’erba è sfruttata come foraggio per il bestiame. Per tutto ciò che interessa la morfologia del territorio, si possono notare due valli distinte, entrambe d’origine glaciale: la valle del Devero e la valle del Veglia. C’è una sostanziale differenza tra loro: la valle del Devero è un parco naturale, modificato dall’uomo, anche se solo in alcuni punti; mentre la valle del Veglia è un parco naturale vero e proprio che non ha subito interventi dell’uomo.
A proposito della fauna, non ci sono molte specie d’animali. C’è però un animale raro: una farfalla di cui si sa solo il nome straniero, è talmente raro, infatti, che non si conosce un suo nome italiano. Questa farfalla vive, di solito, in comunità e su un’ala ha disegnato il numero cinque.
Tra i carnivori, troviamo i lupi che vivono spesso da soli. C’è una piccola storia in proposito, raccontata dalla guardia: tanto tempo fa nel parco naturale del Devero, viveva una famiglia di lupi; tramite le osservazioni in laboratorio del DNA contenuto nei loro escrementi, ai è venuto a sapere che n’è rimasto solamente un esemplare. Un altro animale, in via d’estinzione, è la pernice bianca, che secondo le stagioni cambia il colore delle proprie penne mimetizzandosi con il paesaggio.
La diapositiva che ci colpì di più fu l’impronta di una zampa di gallina lasciata su una roccia, essa era la testimonianza che, duemila anni fa, questo territorio fosse abitato.
Terminata la visione delle diapositive, salimmo in camera a prepararci per la cena.
La cucina del rifugio offriva: un’invitante pasta al sugo, polenta, spezzatino con patate e per dessert la torta di pane, tipico dolce montano. La cena fu abbastanza veloce e, al termine, c’incamminammo per una passeggiata. Giungemmo così al rifugio dei ragazzi di Suno e rimanemmo lì per circa un’ora e mezza a chiacchierare. Verso le ore 10.45 ritornammo al nostro rifugio e andammo in camera. All’inizio non riuscivamo ad addormentarci, anche perché i ragazzi erano agitatissimi e facevano un gran chiasso. Avevano progettato di salire di nascosto nelle camere delle ragazze ma i proff. Erbetta e Villa disapprovarono subito la proposta. La maggior parte dei ragazzi e ragazze fecero, come si sol dire, la veglia notturna con ridacchiate e pagliacciate. Il risveglio fu molto movimentato; ci svegliammo presto, alle sei e dieci all’incirca. A quell’ora non era certo pronta la colazione e, quindi restammo nelle camere fino alle ore 7.00. Giunta quest’ora, andammo fuori a fare una breve passeggiata vicino al rifugio: imboccammo un piccolo sentiero che ci portò ai piedi di due rocce molto alte e vicino ad un grande e immenso prato fiorito. Non tutti però andarono a fare la passeggiata, alcuni, infatti, rimasero seduti sui tavoli fuori del rifugio a parlare o a giocare a “braccio di ferro”. Verso le ore 7.30 facemmo la colazione, che fu molto sostanziosa e ricca. Le persone del rifugio ci offrirono del latte, quantità abbondanti di pane, cacao amaro, miele, burro e marmellata. Terminata la colazione, i proprietari del rifugio ci diedero un sacchetto con il pranzo al sacco preparato da loro: un panino col salame o prosciutto, un succo, un frutto e una barretta di cioccolato. Ci diedero alcune indicazioni per il pranzo, ricordandoci di non gettare a terra le cartacce, ma porle nel sacchetto dove era conservato il pranzo al sacco. Varcata la soglia del rifugio con uno zainetto in spalla, ci recammo ai piedi di due gigantesche rocce. Chi voleva, poteva scalare questa roccia e, una volta in cima, per mezzo di una teleferica ritornare giù. Per fare quest’esercizio, noi ragazzi di Fontaneto ci alternavamo con quelli di Suno e Momo. All’inizio, di noi non salì quasi nessuno, ma poi, spinti dalla gran voglia, prendemmo coraggio. Non tutti salirono, ma una buona parte sì. Alla fine salirono anche i proff. Villa e Masseroni e il bidello Tiziano. Finita la prova, c’incamminammo verso la tappa più faticosa: “Il lago Nero”, dove saremmo arrivati dopo circa tre ore di salita. Partimmo desiderosi di arrivare alla meta, ma ben presto, molti cominciarono ad essere stanchi e rimasero indietro. Il cammino all’inizio fu abbastanza facile per tutti poiché c’erano circa tre chilometri di pianura, poi cominciarono le salite. Nel percorso ci fermavamo ogni tanto per riprendere il fiato, per bere o per rinfrescarci con l’acqua dei ruscelli e delle fontane che trovavamo per strada. In testa al gruppo c’era Tiziano, che non si stancava mai. Verso mezzogiorno non arrivammo al lago Nero, ma in una piccola piana dove sostammo per mangiare il pranzo al sacco. Intanto chi voleva poteva attingere acqua dal fiume. Andare al lago Nero, divenne una scelta facoltativa: infatti, chi non voleva poteva restare in quella piana. Coloro che se la sentivano, sempre con i proff., si diressero verso la meta. Il percorso piana- lago durò circa mezz’ora e non fu faticoso come il precedente. Dopo aver attraversato molti fiumiciattoli, finalmente arrivammo al lago. Il cammino fu difficile, ma una volta arrivati fummo soddisfatti di aver raggiunto una meta che sembrava così lontana.
Questo splendido posto si trovava a circa 2000 m sul livello del mare. Si presentò a noi come un lago di discrete dimensioni e molti scattarono delle foto. I proff. si sedettero sui sassi a riposare, mentre noi parlavamo e giocavamo a carte; altri, invece stavano sulla riva, a far saltare sassi nel lago. Passammo quasi tutto il pomeriggio lì ma verso le ore 15,30 tornammo al rifugio. Durante il viaggio di ritorno al rifugio, due guardie del posto ci diedero alcune indicazioni riassuntive ed alcune informazioni a carattere geografico; per esempio: la vetta più alta è il Cervandone. A sud si può ammirare la “Rossa”, una montagna che deve il nome al colore della roccia di cui è formata. Ci spiegarono anche che non bisogna gettare a terra cartacce per due motivi principali: se gli animali si cibassero di queste si abituerebbero ad una vita non propizia, mentre essi si nutrono di cibi ben specifici. Il secondo motivo è naturalmente l’inquinamento ambientale.
Giunti al rifugio e presi i bagagli, i proff. ci diedero due possibilità: si poteva raggiungere il pullman per mezzo della navetta oppure a piedi. La maggior parte di noi scelse la prima possibilità perché dopo la lunga camminata eravamo abbastanza stanche. In entrambi i modi, chi prima, chi dopo, ci trovammo riuniti per il viaggio di ritorno in pullman. Durante il tragitto ci fu l’opportunità di spendere gli ultimi soldi ad una latteria che vendeva formaggi e cibi tipici montani. Il viaggio, come quello d’andata, durò circa due ore. Verso le ore 18.40 ci trovammo dietro la scuola. Eravamo tutti molto contenti.



Sara e Valentina Cerri

Pubblicato da Redazione - 06/06/2005 - 01:35
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